Non si attenua il rincaro dei prezzi delle materie prime. Gli aumenti riguardano, l’acciaio in primis, i metalli non ferrosi (l’alluminio, il rame con valori record che non si vedevano da 10 anni) e il palladio. Ma vengono coinvolti anche i materiali isolanti e la plastica e anche il legno.
Ovviamente, le imprese sono le più colpite dall’aumento dei costi delle materie prime, che dopo una breve tregua si confrontano con nuove crescite di prezzo per i metalli. Il rapido rialzo delle quotazioni aveva perso forza nel periodo tra marzo e aprile, ma ha ripreso spazio recentemente, grazie anche agli investitori, che hanno riniziato a puntare sulla ripresa economica. Nonostante il propagarsi della variante indiana, non ci sono ancora rallentamenti della domanda globale: quanto meno non per le materie prime. Infatti, questa sta crescendo in Cina, ma anche in Europa e negli Stati Uniti e sta ritornando ai livelli prima del Covid.
Acciaio e alluminio preoccupano
Grazie agli aiuti del PNRR e dei Fondi europei, sono stati stanziati 191 miliardi di euro per l’Italia, di cui 69 a fondo perduto, oltre ad altri 30 miliardi che si aggiungono alle azioni volute nel Piano predetto. Questi enormi incentivi dovrebbero rappresentare per il Paese una forte spinta per la ripresa economica.
Per il presidente della Camera dei deputati, Finco, è difficile programmare con certezza una politica dei prezzi e delle stime precise dalle imprese. Inoltre, i fondi stanziati sono sicuramente una grande risorsa, ma se i tempi di consegna delle materie diventano troppo lunghi, rischiano di intaccare il programma di ripresa auspicato dal Piano di recupero.
Riguardo i materiali, la Federazione pone il focus sull’ acciaio e sull’alluminio, dal momento che non sembra esserci un ribasso delle loro quotazioni per il 2021 e che sono aumentati rispettivamente del 40% e del 18% nel solo primo trimestre dell’anno. L’acciaio si vende a prezzi da primato, in Cina e non solo. L‘alluminio scambia ai massimi dal 2018 (con un picco di 2.382 $/tonnellata), il palladio, materiale usato nelle marmitte delle auto a benzina, l’altra settimana ha raggiunto il record storico a 2.925,14 $/oncia. Anche il minerale di ferro è diventato carissimo, arrivando a vette sopra i 187 $/tonnellata in Asia. Le imprese italiane, rileva Siderweb, sono arrivati a pagare 1.000 euro per tonnellata i laminati a caldo. Ma il reale problema è il rifornimento, dato che le aziende faticano a procurarselo.
La grande richiesta del rame
Il rame, metallo usato principalmente per cavi e conduttori elettrici, è tra le materie prime su cui puntare per la “rivoluzione verde“, ma anche più in generale per il risveglio dell’economia. Infatti, le sue quotazioni sono lievitate, arrivando fino i 9.765 dollari per tonnellata al London Metal Exchange, il massimo da agosto 2011.
Per quanto riguarda questo metallo, ci sono alcune cause sull’aumento esponenziale della richiesta:
Il rame rappresenta il “nuovo petrolio”?
Il rame è un materiale che si può usare nelle auto elettriche e quindi è perfetto per seguire gli interventi di transizione energetica. In commercio, è il miglior conduttore in termini di costi ed efficienza e quindi rappresenta una risorsa per tutte le attività che intendono fornire, immagazzinare e trasportare le nuove fonti “verdi” di energia. Bisogna aumentarne considerevolmente l’uso, in modo da aiutare gradualmente la sostituzione dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili.
Gli analisti di Goldman Sachs sostengono che il rame arriverà ben presto a 10.500 $/tonnellata, spingendo in questo mercato al rialzo, che come sappiamo è guidato dalla domanda e non dall’offerta. Il problema è che sembra che non si riuscirà a rispondere alla richiesta futura. Infatti, la banca, in un rapporto chiamato ” Il rame è il nuovo petrolio” afferma: “Non è esagerato affermare che il rame giocherà un ruolo critico nel percorso verso gli obiettivi di Parigi sul clima“.